Diario dell’esperienza di Niccolò al St. Christopher’s Hospice, London
Storie

Diario dell’esperienza di Niccolò al St. Christopher’s Hospice, London

Niccolò Acciaioli, Infermiere, Pistoia

St. Christopher's Hospice, London

L'esperienza

Tra tutti i santi del calendario ce n’è uno che non è molto conosciuto, perlomeno qui da noi. Non si sa se sia esistito veramente, ma la leggenda parla di un gigante che faceva il traghettatore su un fiume. Era un uomo burbero e viveva da solo in un bosco, di cui era padrone. Una notte gli si presentò un fanciullo per farsi portare al di là del fiume; il mostro, anche se grande e robusto, si sarebbe piegato sotto il peso di quell’esile creatura, che sembrava pesare sempre di più ad ogni passo. Il gigante sembrava essere sopraffatto, ma alla fine, stremato, riuscì a raggiungere l’altra riva.

Al meravigliato traghettatore il bambino avrebbe rivelato di essere il Cristo, confessandogli inoltre che aveva portato sulle sue spalle non solo il peso del corpicino del bambino, ma il peso del mondo intero. Interessante che Cecily Saunders, la fondatrice del movimento hospice abbia scelto proprio questo nome per il suo hospice; il santo protettore dei viandanti, il traghettatore…verso dove? Verso quale viaggio? Anche il luogo mi domando se sia stato scelto per caso. Un posto di pace e di silenzio, in mezzo a un tranquillo quartiere residenziale, dove anticamente c’era una foresta nella quale i londinesi andavano per divertirsi. Un luogo trasgressivo, residenza di gitani e saltimbanchi… insomma un posto tutt’altro che desolato. È qui che sorge il St. Christopher’s, la casa madre per tutti coloro che lavorano in cure palliative.

Il primo hospice del mondo, l’ostello per viandanti che costruì, curò e dove morì persino Cicely Saunders. Non che della sua impronta originale sia rimasto granché. “Siamo pragmatici noi Inglesi” mi spiega Liz, l’infermiera addetta ad accogliere gli studenti del centro studi internazionale del S.C. Ed è in effetti in nome dell’efficienza che l’edificio è stato più volte modificato e ampliato: la chiesa che prendeva metà del primo piano è stata tolta per realizzare un bistrot ad uso dei familiari e una palestra per i degenti. L’entrata vecchia, con la famosa finestra di Dave Thasma (un paziente molto caro a Cecily che le donò i primi soldi per portare avanti il progetto hospice) è stata messa in secondo piano da un ingresso più moderno ed efficace. Nulla è lasciato al caso, la comunicazione è studiatissima, il posto è meraviglioso e l’assistenza è al top: vitto di primordine, personale in abbondanza, terapie complementari erogate da professionisti dedicati, una imponente macchina di volontariato (1300 volontari attivi).

Il primo giorno ci troviamo tutti insieme nel centro didattico del s.c. Siamo 20 operatori sanitari (medici, infermieri, fisioterapisti) e veniamo da tutto il mondo: Colombia, Australia, Cina, Giappone, Malta, Brasile, Nepal, Bangladesh, Zambia, Barbados, Italia. Anche se veniamo da luoghi diversi siamo uniti dallo stesso sogno: migliorare quello che già c’è nelle nostre realtà, confrontarci e capire. Alla prima occasione di confronto viene fuori proprio questo: non siamo persone “normali”. Facciamo una vita strana, siamo coloro che sono sempre immersi nel grande mistero della morte.

Da questo confronto emerge con potenza come questa nuova visione delle cure stia prendendo piede: paesi in via di sviluppo che piano piano stanno integrando queste pratiche, l’occidente che si interroga su come poterle fare sempre meglio. Una dura settimana di studio e di confronto ha dato i suoi frutti, finalmente ho completato il corso. Grazie a voi che mi avete permesso di fare quest’esperienza che sono certo occuperà i miei pensieri e aiuterà la mia attività per molto tempo.

Testi di Niccolò Acciaioli

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