Diario dell’esperienza di Eleonora al MD Anderson Cancer Center di Houston
Storie

Diario dell’esperienza di Eleonora al MD Anderson Cancer Center di Houston

Eleonora Taberna, Medico Palliativista, Merano

MD Anderson Cancer Center

Partenza

21 settembre 2019: finalmente parto per questa avventura che ormai sogno da mesi. È il mio primo volo intercontinentale da sola ed è la prima esperienza “lavorativa” all’estero, quindi le emozioni alla partenza non mancano. Il colloquio in dogana arrivata a Houston è stato decisamente più facile del previsto: il poliziotto, incuriosito dalla mia risposta alla sua prima domanda (“perché sei a Houston?”), mi ha chiesto di spiegargli cosa fossero le cure palliative che non conosceva … in pratica è stato più un colloquio per un posto di lavoro che un interrogatorio per entrare negli USA! È comunque rimasto soddisfatto e con un grande sorriso e un “thank you for teaching me!”, mi ha fatta entrare in America!

I due giorni successivi sono stati di “assestamento”: ho affrontato il jet lag e ho preso un po’ di confidenza con questa grande città. La metro, sotto casa, mi ha portata proprio vicino all’Md Anderson. Sono riuscita a recuperare una cartina del Med Center di Houston che è grande circa 4 volte il centro di Modena, in cui attualmente vivo. Avevo provato ad immaginare la grandezza di tutto quanto ma ero molto lontana dalla realtà! La zona ospedali è veramente immensa. Tra l’altro scopro che l’Md Anderson ha svariati edifici (Main Building, Pick Tower…). La famosa foto che appare sempre su internet non è dell’MD “ospedale” ma si tratta dell’edificio Mid Building, dove ci sono solamente uffici! E pensare che mi ero sempre immaginata Bruera la dentro! Capisco che le cose da imparare sono tante…

Board

Il 24 settembre inizio l’“Updates in Hospice and Palliative Medicine and Intensive Physician Board Review.” Intensive è stato di certo! Sono stati appunto tre giorni molto “full”: le lezioni iniziavano molto presto al mattino (massimo alle 8!) e proseguivano fin verso le 5. Brevi break e time lunch con i vari professori, che esponevano casi clinici mentre la gente sgranocchiava il lunch box, tutto molto condensato insomma.

Sinceramente mi ero immaginata un meeting internazionale, con gente proveniente da tutto il mondo, invece io ero l’unica europea, almeno tra i medici presenti in sala (alcuni seguivano il board in streaming). Sono riuscita a seguire abbastanza agevolmente tutti gli incontri (la pronuncia americana dei prof di origine indiana resta impossibile da comprendere per me!) e ci è stato fornito un libro con tutte le slides già stampate, quindi è stato molto comodo prendere appunti.

Ciascun partecipante ha poi creato un account sul sito dell’MD dove è possibile scaricare le slide e le registrazioni video dei vari interventi. Utilissimo soprattutto per chi, come me, a breve dovrà studiare per affrontare dei colloqui per un posto di lavoro in cure palliative. Gli argomenti trattati sono stati tanti, dalla gestione dei sintomi più comuni ai sintomi orfani, alla terapia farmacologica del dolore, agli aspetti spirituali e comunicativi. Mi sono fatta anche una mezza cultura sul MediCare americano.

Ho conosciuto tanti Professori e dato un volto a parecchi nomi che solitamente leggo sugli articoli scaricati da PubMed. In particolare, ho avuto modo di assistere all’intervento del Prof. Del Gado sulla spiritualità e del Prof. Epner sulla comunicazione. L’ultimo giorno ho conosciuto il Prof. Bruera, che si è rivelato la persona più affabile del mondo. Gli ho spiegato perché mi trovassi lì (Italy, ASMEPA di Bentivoglio, grant della Fondazione Deutsche Bank…) e mi ha fatto un bel po’ di domande su di me, sulle mie origini e il mio percorso di studi. Mi ha raccontato che anche lui ha origini piemontesi come me! Quindi mi sono ritrovata all’11 piano dell’Md Anderson a parlare di “bagna cauda” con il guru delle cure palliative mondiali! Sì, è successo veramente, mi ha detto che la cucina a casa sua. In tutto questo parla italiano in maniera perfetta.

Ho terminato il board in bellezza dunque e sono uscita da quei tre giorni decisamente soddisfatta! Uscita dall’ospedale, in previsione del week end ricevo una mail dal segretario di Bruera con l’allegato “Palliative Clinician Self Care Checklist” di cui vi allego foto. Il venerdì 27 settembre ho avuto l’appuntamento nel famoso edificio Mid Building (quello che vedevo sempre in foto, finalmente ci sono entrata!) per il controllo del passaporto e del visto. La burocrazia per questa avventura non è stata poca diciamo…

Observership

Il lunedì 30 settembre sempre appuntamento al Mid Building per l’orientation. Devo dire, organizzazione perfetta: riunione inziale uguale per tutti (ci sono studenti di medicina, resident, fellow, observer stranieri come me), in occasione della quale hanno distribuito un foglio nominativo con una check list da completare (ritiro badge, firma del referente di reparto, etc) quindi con i vari ascensori, scale mobili e shuttle dell’Md Anderson che collegano i vari edifici ognuno ha intrapreso il proprio percorso.

In tarda mattinata ho finalmente concluso la parte burocratica e sono arrivata nella Clinic. Si tratta del servizio che si occupa di “Simoultaneus Care in outpatients”, quindi accoglie pazienti ambulatoriali che sono in terapia attiva presso l’Md Anderson (chemioterapia, radioterapia, trials clinici, etc) oppure pazienti che hanno recentemente sospeso i trattamenti attivi.

L’Md Anderson è veramente uno dei templi mondiali dell’oncologia: ho visto pazienti in trial clinici di fase 1 (!), c’è un reparto solo di Target Therapy e uno di immunoterapia…diciamo qualcosa di molto diverso rispetto al solito DH oncologico dei nostri ospedali. Anche qui non avevo lontanamente immaginato la dimensione del sistema. Ho visto pazienti provenienti da diverse parti degli USA, persone che avevano appena affrontato 4 ore di aereo per farsi curare all’Md Anderson. Cose dell’altro mondo proprio!

Episodio divertente: ho visto anche un paziente-cow-boy, un vero cow-boy con tanto di stivali e cappello che lavora in una farm, e che lamentava un dolore incidente quando lavora con il bestiame.

Sono rimasta nelle Simoultaneus Care per tre giorni. Per quanto riguarda la parte medica sono stata rispettivamente con:

  • 30 settembre: Prof. Akhila Reddy molto molto ferrata sulla terapia con oppioidi e loro rotazione. Professoressa associata, decisamente giovane e soprattutto donna, un grande sogno per l’italia una figura del genere…
  • 1 ottobre: Prof. Marvin Del Gado …assistere alle sue visite e alle conversazioni che partono dalla domanda “how is your spirit?” è stata una grande opportunità per esplorare un po’ di cultura americana
  • 2 ottobre: Prof. Kimberson Tanco e la sua fellow Jaja Davila che è stata veramente super disponibile nello spiegarmi anche le cose più basilari della loro organizzazione

Oltre alla parte medica, ho potuto assistere a:

  • lavoro delle counsellors che hanno un ruolo analogo alle nostre psico-oncologhe/assistenti spirituali e in parte assistenti sociali (siamo giunte alla conclusione che non è traducibile in italiano la loro figura!)
  • raccolta di informazioni sul paziente da parte delle infermiere
  • raccolta dati dei vari addetti alla ricerca (fare ricerca qui è tutta una altra storia! Servirebbero altre 2 settimane solo per capire come funziona la raccolta dati e quali sono le figure coinvolte)

Il 2 ottobre ho assistito alla mia prima lezione di Bruera con i fellow, che incontra un paio di volte a settimana, per una lezione di circa un’ora in pausa pranzo (e offre pure la pizza: ti siedi, mangi la tua pizza mentre lui spiega!). L’argomento trattato è a scelta da parte degli uditori. Ovviamente lui non sa cosa gli verrà chiesto di discutere, lo scopre sul momento. Questa prima lezione è stata su un sintomo specifico: il prurito. Ha tenuto un trattato di un’ora parlando a ruota libera e dicendo di tutto, tranne cose scontate. Mi sono sentita estremamente ignorante e la sera sono tornata a casa a studiare.

Mobile Team

Da giovedì 3 a martedì 8 ottobre sono stata, invece con il mobile team ossia il gruppo di lavoro che si occupa di fornire consulenza in giro per i reparti dell’ospedale, fondamentalmente per il trattamento del dolore/altri sintomi e per dare un aiuto nella definizione del percorso assistenziale del paziente. Il team si ritrova tutte le mattine per dividersi i pazienti (l’elenco è di circa 110 -120 persone al giorno, tra i pazienti che hanno già in carico e le nuove richieste). Ci sono più gruppi di lavoro e ciascuno è composto almeno da un medico, un fellow e una practitioner nurse, che si suddividono il lavoro all’interno del gruppo.

Ho trascorso sia il 3 che il 4 ottobre con la practitioner nurse Kimmie Tallie: mi sembrava di essere in una puntata di “ER medici in prima linea”, con questa infermiera di colore che mi ha fatto un sacco di domande il primo giorno, quasi per mettermi alla prova. La seconda giornata eravamo decisamente più in sintonia e mi ha anche invitata a mensa. Non avevo mai visto prima il lavoro di questa figura professionale (in Italia non esiste) che sa maneggiare gli oppiacei in maniera molto più fluida rispetto ad un internista italiano medio e che, la maggior parte delle volte, modifica e prescrive le terapie in autonomia senza un confronto medico. Ci ha tenuto molto a spiegarmi il suo percorso di studi che è diverso da quello delle altre nurses.

Il 7 ed 8 ottobre, invece, ho frequentato con il Prof. Daniel Epner ed il suo fellow Michal Kubiak. Il suo punto forte è la comunicazione: le varie strategie per affrontare i dialoghi e la condivisione delle notizie. In queste due giornate mi ha offerto molti esempi e spiegato molti comportamenti a riguardo. Mi ha salutata dicendomi “It was a pleasure having you here”. Non sono abituata a tutta questa gentilezza da parte di un professore universitario. Non è un caso che si occupi di comunicazione.

L’8 ottobre posso dire che sia stata la Giornata, perché ho avuto l’incontro con il Prof. Bruera. L’assistente del Professore, tale Carlos Martinez, ci ha organizzato un incontro ristretto: io, Eva Paoletti e altri due observer argentini.

Faccio fatica a trovare parole per descrivere il momento: io seduta nello studio del Prof. Bruera che parlo della situazione delle cure palliative in Italia.. un sogno! Non avevo mai osato desiderare questo momento quindi ho fatto veramente fatica a realizzare che stesse davvero accadendo. Ho passato il resto della giornata a sorridere e a guardare la foto che ci hanno fatto insieme, avevo bisogno della dimostrazione che fosse accaduto realmente!

Ci ha regalato un paio di suoi libri recenti e io gli ho chiesto di autografarmi il suo handbook, che ormai è un po’ datato, ma cui sono molto affezionata: è stato il mio primo libro di cure palliative.

Comunque me ne ha regalato una versione più aggiornata!

Palliative Care Unit

Ho trascorso le ultime tre giornate dell’observership (dal 9 all’11 ottobre) nella Palliative Care Unit, seguita dalla Prof.ssa MB Vidal e dal fellow Alexander Harding. Questa Unit è simile ai nostri hospice, ospita pazienti in fine vita e il “goal of care” è sicuramente il confort, insieme alla “quality of life”. Entrando non si può non sentire l’aroma therapy che è attivo sul bancone del reparto. Sempre al bancone, c’è un indice del tipo di essenza da usare in base al sintomo che si vuole trattare; a volte l’aroma therapy viene personalizzato in stanza in base al disturbo del paziente.

In questo reparto non ho visto terapie farmacologiche particolarmente diverse da quelle che si usano in Italia. È forse l’attività più simile a quanto avviene nella realtà clinica italiana. Peculiare sicuramente il giro visite, che è molto “popolato”: medico, fellow, farmacologa, assistente sociale, counselor e, a volte, addirittura la chaplain. L’aspetto che mi ha stupita di più è la quantità di parenti presenti in alcune stanze, spesso 7-8 persone sedute sulle sedie, sdraiate su materassini a terra, che mangiavano/bevevano, chiacchieravano, ridevano tra loro, piangevano, lavoravo al pc. Il tutto accanto al paziente. Nemmeno in hospice ho mai visto una scena così. Tra l’altro tanti familiari indossavano la maglietta dell’Md Anderson con la scritta “Cancer” cancellata da una riga rossa. Il primo giorno mi sembrava fuori luogo quella maglietta in una stanza dedicata alle cure palliative, dove “il cancer” aveva palesemente vinto.. poi ci ho riflettuto e ho pensato che alla fine anche questo tipo di cura serve a “cancellare” la parola cancer.

Non dimenticherò mai il primo paziente che ho visto nella Unit. Entriamo nella stanza per la visita e vediamo un ragazzo di 28 anni, affetto da linfoma. Ha trascorso una notte molto agitata ed è morto davanti ai nostri occhi, dopo 1 minuto dal nostro ingresso in stanza, passando dalla bradipnea all’arresto respiratorio.

Accanto a lui c’erano il padre e il fratello – un ragazzone che mi hanno detto solo dopo essere affetto da autismo – che dormiva e non si era accorto di nulla, nemmeno che fossimo entrati in visita. Quando il papà lo ha svegliato, ha visto tutti noi sanitari immobili e il fratello che non stava più respirando. Ha iniziato a piangere, si nascondeva con il lenzuolo al muro per non farsi vedere. C’erano dei palloncini appesi al soffitto che si muovevano per l’aria condizionata. Il padre aveva quel pianto “sereno”, immagino dopo il lungo calvario che deve aver passato il figlio. Ho pensato che capire l’accento americano a volte è stato difficile per me, mentre oggi non ho avuto alcuna difficoltà con il non verbale. Non ho dovuto, e non avrei saputo, pronunciare nulla in inglese in quella situazione. È stato bello però pensare al potere universale delle emozioni, oltre ogni lingua e ogni cultura.

A conferma del fatto che ho scelto il mestiere “giusto” nella pausa pranzo c’è stata un’altra lezione di Bruera. Questa volta una fellow ha chiesto di raccontarci la storia delle cure palliative partendo dalle sei foto che sono appese nella conference room (Saunders, Mount, Doyle, MacDonald, Ventafridda, Foley): “per tanti non sono nessuno, per noi sono eroi” è stata l’introduzione di Bruera. Coinvolgente l’entusiasmo del racconto del suo primo incontro con il Professor Ventafridda in Argentina e del suo periodo di frustrazione in oncologia. Molto bella la parte sul potenziale burnout/frustrazione del medico palliativista nella realtà della medicina moderna. Mi ricorderò questa lezione nelle giornate difficili.

La mia ultima attività pomeridiana venerdì 11 ottobre è stata una lezione con il Prof. Epner sulle strategie da utilizzare nelle comunicazioni difficili. Lezione molto interattiva, iniziata con la distribuzione di foglietti su cui a ciascuno è stato chiesto di scrivere un caso di comunicazione difficile a cui aveva assistito, seguita da un role playing e successivi take home messages estrapolati da ciascuno di noi.

Mi mancheranno queste tipologie di lezione, di confronto, di crescita.

The end

12 ottobre 2019: purtroppo è ora di ritornare nel vecchio continente. È stata una esperienza breve ma decisamente molto intensa e io mi sento veramente arricchita. Non ho capito esattamente chi leggerà questo mio “diario di bordo”, che ho scritto “day by day” direttamente in quel di Houston. Spero non penserete sia troppo poco formale ma ho fatto fatica a trattenere l’entusiasmo. Sono ovviamente a disposizione per ulteriori report o chiarimenti. Torno con il pensiero di aver realizzato un sogno, consapevole che alle volte i desideri si realizzano.

Grazie veramente di cuore per aver reso tutto questo possibile.

Testi di Eleonora Taberna
Foto di ©Eleonora Taberna

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